Il Pane in Casa:
Autolisi: quando e perché
(Aggiornato il 18/01/2019)

Autolisi è un termine gergale usato nel mondo della panificazione e, da non molto, anche in quello della pizza. Deriva dalla parola lisi che nel settore biologico significa rottura, scioglimento, e auto per il fatto che si tratta esclusivamente della farina e dell'acqua che poi comporranno un impasto.
Il metodo fu introdotto per la prima volta dal Prof. Raymond Calvel, un esperto ed innovatore di panificazione e più generale di impasti, e consiste semplicemente nell'idratare la farina necessaria per l'impasto e lasciarla a riposo per un certo tempo prima di completare con lievito, sale e quant'altro richiesto e impastare il tutto.
Per capire a cosa può servire e come effettivamente utilizzare questa procedura bisogna capire cosa avviene in una farina idratata, ed è quello che cercherò di spiegare in modo estremamente semplificato in questa pagina, perché la chimica degli impasti è davvero complicata e non l'ho completamente capita (credo che nessuno lo abbia ancora fatto).
La molecola dell'acqua è semplicissima: un atomo di ossigeno con due atomi di idrogeno i cui elettroni vanno a completare gli orbitali n=2 dell'ossigeno. Una molecola piccola, ma con un forte dipolo elettrico, perché gli atomi di idrogeno non sono disposti simmetricamente, ma formano un angolo tra di loro, e i loro elettroni sono più attratti dall'ossigeno, che ne risulta con una carica negativa, mentre gli atomi di idrogeno risultano con una carica positiva. Ma a parte questi dettagli di chimica di base, che chi vuole può andarsi a studiare anche in rete, dove ormai vi sono ottimi testi divulgativi, quello che interessa dal nostro punto di vista è che la molecola dell'acqua si può infilare facilmente all'interno dei glovigli molecolari che sono le proteine, e il loro debole campo elettrico induce movimenti delle proteine stesse, come se si "srotolassero" in un liquido.
Per capire meglio, facciamo un passo indietro: cosa sono le proteine?
Le proteine sono delle macromolecole composte dall'unione di un certo numero di "mattoni" fondamentali, gli amminoacidi, che sono molecole complesse (in numero di 20 o forse 22) con la capacità di formare facilmente delle catene sempre più complesse, che sono appunto le proteine. Le proteine hanno una struttura tridimensionale, con ritorsioni ed avvolgimenti, con connessioni dovute a diversi tipi di legami chimici tra le loro parti. La funzione di una proteina dipende sia dalla sua successione di amminoacidi che dalla sua struttura spaziale, infatti quando si parla di denaturazione delle proteine dovute alla cottura (anche con temperature inferiori a quella dell'ebollizione dell'acqua) si tratta normalmente di una variazione della struttura tridimensionale della macromolecola, per la rottura di qualche legame chimico che univa anse diverse, e non per una diversa successione di amminoacidi, che impedisce comunque alla proteina di svolgere la sua funzione.
Detto questo torniamo al nostro impasto, e ripartiamo dalla farina.
Come ho spiegato nella pagina delle farine, tutte le farine di cereali sono composte per gran parte di amido, che è una gigantesca macromolecola composta da tante molecole di glucosio unite insieme e raggruppate in granuli. Le proteine costituiscono invece una percentuale di circa il 20% del totale, poi ci sono altri ingredienti minoritari. La maggior parte di queste proteine fanno parte delle famiglie delle gliadine e delle glutenine, e sono quelle che formeranno il glutine. Tra le rimanenti ci sono delle proteine che sono chiamate enzimi, perché, in certe condizioni, svolgono delle precise funzioni chimiche di interesse biologico.
Tra le tante presenti, due sono quelle interessanti per il discorso che stiamo facendo: le amilasi e le proteasi. Le amilasi, nelle due versioni alfa-amilasi e beta-amilasi, attaccano la macromolecola dell'amido fino a staccarne delle molecole di maltosio, due molecole di glucosio unite insieme. Le alfa-amilasi, che sono presenti anche nella nostra saliva e nell'intero sistema digestivo, attaccano e spezzano l'amido in posizioni casuali, formando dei pezzi più piccoli chiamati destrine. Le beta-amilasi, che sono invece esclusive del mondo vegetale, staccano le molecole di maltosio da una delle estremità dell'amido o, con evidente maggiore efficacia, dalle estremità delle destrine. Questa attività amilasica è molto facilitata se il granulo di amido è stato danneggiato meccanicamente dalla molitura, altrimenti su un granulo intero risulta più difficile, almeno fino a quando, in cottura, avverrà la sua gelatinizzazione che lo renderà molto più aperto all'azione degli enzimi. Il maltosio così prodotto è disponibile per il metabolismo dei lieviti e dei lattobacilli, che sono in grado di scinderlo nelle due molecole di glucosio che lo compongono e usarle per la propria fermentazione.
In modo analogo le proteasi rompono le proteine in pezzi più piccoli, peptidi. Ci sono decine di tipi diversi di proteasi, con diversi meccanismi di operazione e che intervengono su diversi amminoacidi. Nel nostro organismo prevale la pepsina nel succo gastrico, ma ve ne sono altre in tutto il processo digestivo. Nella farina, specialmente nelle farine meno abburrattate, perché sono prevalenti nella parte esterna del chicco, in presenza di acqua che è indispensabile non solo per permettere la mobilità dell'enzima ma anche per la sua reazione chimica, spezza la maglia glutinica facendole perdere l'acqua contenuta e rendendo quindi l'impasto più morbido, estensibile e umido.
Siamo ora quindi in grado di capire i possibili vantaggi, e le possibili condroindicazioni, di una procedura di autolisi per un impasto: quando si idrata sensibilmente una farina, le proteine che formeranno il glutine iniziano a stendersi, incominciano a formarsi alcuni legami tra le stesse, favorite dall'ossigeno che viene naturalmente incorporato nella fase di impasto per idratare la farina e anticipando quindi la formazione del glutine, ma sopratutto l'acqua verrà poco alla volta ben assorbita dai grossi grovigli molecolari che sono le proteine e l'amido. Poi, più o meno lentamente in funzione della temperatura e della quantità di enzimi contenuti dalla farina, sia per la natura della farina che per il grado di abburrattamento, gli enzimi stessi inizieranno a fare il loro lavoro, riducendo una (piccola) parte dell'amido a maltosio ed indebolendo la struttura del glutine.
Quindi se si fa un'autolisi breve (vedremo poi cosa significa"breve"), si otterrà un impasto con migliore assorbimento di acqua e con un glutine parzialmente pronto ad essere completamente sviluppato, rendendo così piùveloce e più semplice l'impasto successivo, senza conseguenze sulla struttura del glutine ma anche senza un sensibile aumento del maltosio.
Cosa significa "breve"? Dipende da diversi fattori, a cominciare dalla temperatura e finendo al contenuto in enzimi delle farine usate. Dai dati in letteratura e dalla mia esperienza personale posso dire che se si fa questa autolisi in frigo (6-8 ºC) con farine di frumento anche poco abburrattate (Tipo 1 o Tipo 2) da 30 minuti (meno è sostanzialmente inutile) fino a due ore di sosta non portano ad alcun danno alla struttura del glutine, mentre i vantaggi di idratazione e di facilità di incordatura sono ampiamente visibili.
Se si aumenta il tempo di riposo gradualmente inizieranno a vedersi gli effetti del lavoro degli enzimi, mentre nessun altro vantaggio si avrà dal punto di vista dell'assorbimento, anzi, per quello che ho detto in precedenza, con la rottura delle proteine si avrà anche una perdita di acqua. Inoltre le destrine, i pezzi di amido prodotto dalle alfa-amilasi, sono solubili in acqua, quindi l'impasto sarà sempre più umido. Ancora una volta i tempi di questo processo dipendono dalla temperatura, dalla quantità di enzimi presenti e ovviamente dalla forza della farina, che se è molto alta sentirà meno gli effetti della rottura di qualche proteina.
L'azione degli enzimi può essere aumentata inserendo come parte dell'impasto farine che ne sono ricche, come la segale, o semplicemente addizionando all'impasto una piccola quantità di farina di malto d'orzo, come ho illustrato nella mia pagina dei miglioranti.
Alla fine di tutto, la mia opinione è che una autolisi breve, di una o due ore, meglio se in frigo, presenta degli evidenti vantaggi per l'idratazione totale, che risulta aumentata perché si dà tempo all'acqua di essere completamente assorbita, e di formazione del glutine (incordatura) durante il successivo impasto perché il processo si è in parte già svolto. Al contrario vedo davvero poca utilità per un'autolisi lunga, di molte ore, fino a far emergere significativamente l'effetto degli enzimi perché a parte che non comportano in generale un vantaggio per l'impasto (a parte richieste decisamente specifiche e molto particolari) si potrebbe ottenere lo stesso risultato variando la composizione delle farine.
In conclusione, aggiungo qualche considerazione pratica.
In molte ricette che comportano un'autolisi si legge di usare un valore estremamente preciso di acqua: il 55%, anche se rimane sempre il dubbio se si tratta dell'idratazione della farina in autolisi o della percentuale sull'acqua totale richiesta dalla ricetta. In ogni caso sono pure fantasie. Nell'autolisi metteteci tranquillamente quanta più acqua potete, nel senso che se dal totale previsto dalla ricetta ne volete conservare un poco per sciogliere il lievito, il sale o per altro che volete fare, conservatelo pure, ma tenete conto che renderete meno efficace l'autolisi, per cui metteteci sempre la massima quantità di acqua che vi è possibile.
Ci sono situazioni in cui una buona autolisi in frigo diventa quasi indispensabile, come ad esempio nel caso di una teglia romana ad alta idratazione (80%) da sviluppare in planetaria, che non è una impastatrice efficiente, che altrimenti risulterebbe di esecuzione complessa.
Se si usa, sia per il pane che per la pizza, una parte di semola o semola rimacinata di grano duro, bisognerebbe tener conto che l'assorbimento dell'acqua da parte della semola è più lento rispetto a quello che avviene con farine di grano tenero, per cui una breve autolisi, in questo caso anche 30 minuti sono più che sufficienti, della sola semola, magari anticipando una sucessiva autolisi di tutte le farine, potrebbe garantire un maggiore assorbimento e, sopratutto, più omogeneo.
Quando l'autolisi diventa davvero lunga, ci sono altre reazioni chimico-biologiche che avvengono, basti pensare all'attivazione della fermentazione dei lattobacilli con produzione di acido lattico. Lo sviluppo della pasta madre non è altro che un'autolisi portata all'eccesso. Ma i lattobacilli non sono gli unici e l'acido lattico nemmeno, per cui un impasto con lunghissima autolisi sviluppa aromi diversi, anche se non necessariamente gradevoli.
Le lunghe maturazioni che si fanno con presenza di lieviti sono però una cosa completamente diversa, perché, ad esempio, l'ambiente acido prodotto dai lieviti influenza molto la funzionalità degli enzimi, rallentando in particolare le amilasi. Quindi la maturazione degli impasti lievitanti deve essere trattata in modo completamente diverso, anche se alcuni aspetti principali rimangono validi.

 
Le altre pagine sulle tecniche:

Le Farine
Lieviti e Lievitazione
Come preparare la Pasta Madre in Forma Liquida
La Preparazione del Pane
La Biga Acida
La Cottura del Pane
I Miglioranti
La Maturazione di un Impasto
La Cottura in Pentola
La Farina Manitoba
Il Trasferimento di Calore in un Forno
La Bruciatura della Teglia di Ferro
La Mia Nuova Pasta Madre Liquida

Fermentazione e Maturzione di un impasto in Frigo
Biga, Idrobiga, Sponge e perché no Poolish
Una Storia di Zuccheri, Malto Diastasico, Miele etc
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