Elite, Classe Dirigente e Classi Sociali
Michele Castellano
(7/10/2008)

Sono sempre molto interessato a cercare di capire come stia evolvendo la societa’ umana in questo periodo in cui il Capitalismo sta assorbendo il mondo intero, e quindi gli effetti di una “globalizzazione” avanzante si stanno facendo piu’ evidenti in molti aspetti della nostra societa’, non piu’ limitati esclusivamente all’aspetto finanziario, che e’ stato il primo a sperimentare questa apertura totale. In particolare cerco di capire, da dilettante totale quale sono in questo campo, la possibile evoluzione delle classi sociali, perche’ da questa evoluzione dipendera’ la prossima suddivisione tra ceti privilegiati e ceti sfruttati, essendo questo una costante universale della societa’ umana, almeno fin’ora.
Avevo gia’ scritto una specie di provocazione [1] che poi, ripensandoci, non mi e’ risultata tanto provocatoria, anche se alcuni aspetti dovrebbero essere rivisti.
Partecipando a diverse discussioni in rete, in cui era argomento abbastanza caldo l’essere o meno ancora attuale la lotta di classe, ho scritto quello che e’ il mio pensiero attuale sulla relativa importanza della lotta di classe al giorno d’oggi [2].
Tutto questo per dire che stavo cercando di formarmi un’idea mia della realta’ attuale dello scontro di interessi che determina la struttura della societa’ in cui viviamo e ne determinera’ lo sviluppo futuro, e mentre me la stavo formando, leggendo anche quello che trovavo da leggere, sono capitato su due libretti di Carlo Carboni [3,4]
Non sono nulla di fondamentale, ma mi hanno presentato un aspetto che conoscevo solo molto indirettamente. A parte il contenuto sociologico concreto, di analisi su dati empirici, presente principalmente nel primo volumetto, e che rappresenta sicuramente un lavoro degno di considerazione, la cosa che mi ha piu’ colpito, dovuto sicuramente alla mia ignoranza dello “stato dell’arte” della discussione sociologica, e’ il fatto che per il Carboni non esista piu’ alcuno scontro di classi. Questo non avrebbe dovuto sorprendermi, perche’ stavo arrivando anche io alla stessa conclusione, ma per lui in realta’ non esistono piu’ le classi, relegate a vecchie memorie di un tempo che fu’.
La lettura di questi due libretti e’ stata estremamente istruttiva, in parte per le informazioni che vi sono contenute, ma sostanzialmente per la possibilita’ di capire meglio una delle visioni della societa’ attuale contrapposta alla mia.
Carboni ritiene che non esista piu’ uno scontro di classi, ma non e’ chiaro se ritiene che nel passato questo scontro di interessi e di progetto di societa’ ci sia realmente stato o semplicemente ritenga che sia il concetto di classe a non essere da prendere seriamente. Quello che scrive in questi due libretti e’ di difficile interpretazione, e lascia aperta la porta ad entrambe le risposte. Indubbiamente e’ difficile pensare che lo scontro di interessi, la filosofia di organizzazione sociale che si sono contrapposti per ben piu’ di un secolo possano essere considerate inesistenti, ma l’ideologia puo’ fare questo ed altro.
In ogni caso, il pensiero di Carboni non e’ solo che attualmente non esista uno scontro di classi, ma e’ anche convinto che non esistano al momento classi nella concezione marxiana del termine, relegate in modo confuso nel periodo storico ormai passato definito del “capitalismo industriale”, e contrapposto alla fase sociale attuale definita del “capitalismo della conoscenza”.
Come e per quale ragione, sotto l’azione di quali forze ed interessi questo cambiamento si sia sviluppato non e’ dato conoscersi, da questi due testi.
La mia impressione e’ che Carboni sia totalmente “embedded” in quella parte di borghesia che sta cercando di emergere e conquistare piu’ potere ora. Quella piu’ legata allo sviluppo del potere della “conoscenza” che si contrappone, anche se in modo molto obliquo ed ambiguo, al potere del “possesso”. Ma questo e’ un tema fondamentale su cui dovro’ tornare piu’ avanti presentando un maggior numero di considerazioni. Per il momento mi limito ad osservare che Carboni tende a sottovalutare gli scontri di interesse tra i diversi ceti sociali, e a non vedere che una classe sociale, con una ben precisa visione di societa’, continua ad esistere concretamente, anche se non e’ omogenea ed al suo interno si scontrano tendenze diverse, forze che si basano su differenti strumenti economici e che quindi hanno visioni di sviluppo anche divergenti. Che poi da questo possa addirittura evolvere una classe diversa e’ una possibilita’ da non trascurare, perche’ storicamente le successioni di classe sono avvenute esattamente in questo modo. In realta’ lui appare proprio il sostenitore del “nuovo”, e quindi e’ naturale che per il momento cerchi di evitare di sottolineare una troppo grossa differenza, perche’ il contrapporsi esplicitamente, quando non si e’ ancora forti abbastanza da essere sicuri di vincere, e’ estremamente pericoloso.
Tornando ai lavori di Carboni, nel suo primo libretto [3] riporta sostanzialmente una analisi sociologica sulla composizione, tendenze ed evoluzione di quella che lui denomina elite, e cioe’ le circa 5500 persone presenti sul Who’s who, e in questo lavoro si fa una comparazione tra la situazione del 1990 con quella del 2004. Nel complesso si tratta di persone che occupano diversi spazi della societa’, dall’economia alla politica, allo spettacolo o allo sport. Quello che li identifica sostanzialmente e’ la loro visibilita’, anche internazionale, piu’ che l’influenza sociale, che pure viene considerato un parametro importante.
I criteri di scelta del Who’s who lasciano ampie praterie di ambiguita’, anche se dichiarano di tenere in considerazione tutte le figure istituzionali e i gruppi di influenza economica e politica. Mi chiedo pero’ se un equivalente di Licio Gelli, magari meno esposto medianicamente, apparirebbe in quell’elenco, e quanti “potentati economici” non del tutto legali ma fortemente influenti nella societa’ appaiano in quell’elenco.
In ogni caso, indipendentemente dai possibili difetti dei criteri di scelta, ben riconosciuti dallo stesso Carboni, e’ evidente che si tratta di una scelta che privilegia sopra ogni cosa la presenza medianica, anche piu’ dell’appartenenza a ruoli istituzionali politico-economici, che sono, ma solo apparentemente, le basi da cui la scelta parte.
Poiche’ sembra che non ci siano metodi di selezione migliori o piu’ selettivi che abbiano anche un minimo di oggettivita’, il Carboni si accontenta di questo campione e lo reputa tutto sommato accettabile. Le difficolta’ iniziano pero’ quando poi cerca di definire quella che dovrebbe essere una sottoclasse dell’elite, cioe’ la classe dirigente, nella forma di un insieme di persone coscienti del loro ruolo e portatrici di un progetto di societa’ che cercano di sviluppare nella realta’ concreta e a favore di tutti. Qui credo che Carboni dimostri un atteggiamento fin troppo idealista, presupponendo, prima di verificarne l’effettiva esistenza, la presenza di un gruppo di persone che per ragioni non date si pone e persegue l’obiettivo di sviluppare la societa’ in una direzione di interesse generale.
Questo e’ uno degli elementi piu’ forti per identificare la posizione del Carboni stesso, che non e’ affatto un “osservatore neutrale”, ne’ d’altronde potrebbe esserlo. In realta’ Carboni dimostra solo di essere lui stesso parte della classe dirigente, che non e’ ovviamente omogenea e contiene al suo interno spinte diverse verso soluzioni differenti e anche contrastanti, come detto prima, ma sempre e in ogni caso considerando interesse generale il proprio particolare obiettivo, come e’ sempre successo per tutte le classi dirigenti susseguitesi nel corso della storia mondiale.
Fatte queste premesse, l’analisi sociologica di Carboni e dei suoi colleghi porta un sostegno sperimentale a considerazioni gia’ ben note, anche se spesso basate solo su sensazioni personali.
Specialmente il Capitolo I, “Una radiografia delle elite: chi sono e che caratteristiche hanno”, riassume brevemente i principali risultati dell’indagine. Tra le molte informazioni interessanti, val la pena evidenziarne alcune.
Forse il risultato piu’ eclatante e’ la “stabilita’ “ dell’elite, specialmente nei settori della medicina, con le stesse persone presenti negli stessi posti di comando, ma in generale una tendenza ad un bassissimo ricambio generazionale, specialmente nei settori politico economici, con una maggiore predisposizione al cambiamento nei settori dello sport e, solo in parte, dello spettacolo. Ma questi ultimi sono settori che hanno poco a che vedere con la “classe dirigente” reale.
Una gerontocrazia spinta e’ quello che risulta da questo studio, insieme al fatto che e’ il consenso, piu’ che la competenza, la qualita’ che mantiene le persone nel novero dell’elite.
Che l’elite economica risulti mediamente poco istruita non e’ difficile da spiegare in una situazione dell’industria italiana dominata dalla piccola e piccolissima industria, con “padroncini” elevatisi a tale ruolo molto spesso da quello di semplice operaio.
L’intera analisi e’ estremamente istruttiva se si vuole capire il perche’ della situazione economica italiana in continuo degrado sotto i colpi dei paesi emergenti, salvata solo in parte, e non si sa per quanto tempo ancora, da una compressione esasperata dei salari e da quello che potrebbe essere il colpo di coda finale della capacita’ innovativa di produzione.
E’ una feroce conferma di quanto tanti avevano scritto, a cominciare dall’analisi fondamentale di Gallino [5] che tutti dovrebbero aver letto.
Dall’analisi di Carboni ed il suo gruppo risulta piuttosto chiaro che a crescere sono i settori legati al “consenso”, mentre nel settore economico aumenta la rigidita’ di ingresso.
La visione a-classista di Carboni si esplicita ancora di piu’ nel secondo libretto, che e’ sostanzialmente una critica alla stabilita’, all’autoreferenzialita’, alla sostanziale chiusura rispetto al nuovo ed al giovane della classe dirigente italiana, con la parte economica che si sposta sempre piu’ verso le rendite. Critiche estremamente motivate, ma che partono dal presupposto che questo rinnovamento che lui vede necessario, e gia’ presente in altre parti del mondo industrializzato, sia nella direzione di un miglioramento sociale generale, di cui avrebbero vantaggi tutti i diversi ceti sociali, ceti che lui nemmeno menziona. Una visione “buonista” della societa’, per cui se ci si evolve verso una struttura sociale “migliore”, piu’ adatta alle nuove capacita’ tecnologiche, superando e sconfiggendo la resistenza del “vecchio”, dell’immobilismo, della conservazione dei vecchi privilegi, sara’ l’intera societa’ a beneficiarne.
La mancanza di visione “di classe” del Carboni fa si’ che lui sia incapace di considerare la possibilita’ che questo sviluppo positivo che gli sembra essenziale sia poi in realta’ solo uno scontro di interessi all’interno della stessa classe dominante, con pochi benefici per altri ceti sociali, per non parlare di possibili peggioramenti. In realta’ la sua posizione puo’ essere molto piu’ correttamente vista come uno scontro in cui i fautori del “nuovo”, del mondo della “conoscenza”, piuttosto di quello della “produzione”, lottano per prendere il sopravvento sugli altri, ma che quindi non necessariamente difendono un interesse generale.
Carboni ha completamente ragione nel ritenere che in Italia il rapporto di forze sia ancora a favore del “vecchio”, e che le nuove esigenze stentino molto a trovare una possibilita’ di sviluppo, avvolte da una rete di interessi consolidati, dalla persistenza di forti corporazioni professionali, di cui non ci si e’ mai riusciti a liberare, dalla apparente inamovibilita’ della classe politica.
A questa questione dedica attenzione particolare, ma sempre come se si tratti di una strana anomalia, una incrostazione piu’ difficile da eliminare che da altre parti.
Non sembra cogliere, e non potrebbe mai farlo, vista la sua posizione ideologica, che questa difficolta’ possa in realta’ rappresentare un aspetto ancora piu’ nuovo ed innovativo di quello che lui propone ed auspica.
Ci troviamo cioe’ in presenza di una apparente contraddizione, una societa’ con una struttura ancora arretrata che non solo non favorisce lo sviluppo delle forze innovative, quelle sponsorizzate dal Carboni, ma addirittura sembra procedere in direzione opposta, con lo sviluppo di una classe dirigente sempre piu’ legata alla politica, una economia sempre piu’ dipendente dalle rendite, e quindi legata in modo strutturale alla politica, da cui dipende e che nello stesso tempo controlla.
Secondo quello che avevo scritto anni fa sulla possibilita’ di sviluppo di nuove classi sociali [1], la situazione italiana sembrerebbe privilegiare questo nuovo “ceto” che avevo chiamato del “consenso e della gestione”, sempre contrapposto alla vecchia classe dominante del “possesso”, anche se lo scontro e’ ancora estremamente forte.
Che in Italia questa guerra abbia aspetti originali e piu’ evidenti rispetto a quanto avviene negli altri paesi sviluppati puo’ essere dovuto all’aretratezza della societa’ industriale italiana, spostatasi significativamente verso i settori “protetti” e le rendite di posizione, ma anche al fatto che proprio per questa arretratezza dei settori “tradizionali” le forze “nuove” possono trovare una opposizione minore e quindi maggiore spazio.
Cerco di spiegarmi meglio. Nei momenti storici di “transizione”, quando le innovazioni tecniche e/o organizzative, nuove strade commerciali (nel passato) o nuove scoperte scientifiche permettono lo sviluppo di nuove attivita’ umane che possono anche dare origine alla nascita di un nuovo ceto sociale, o addirittura di una nuova classe, il “nuovo” e’ piu’ facile che si sviluppi dove il “vecchio” incontra maggiori difficolta’. E la storia dell’umanita’ e’ piena di esempi che confermano questa mia opinione.
Quindi, mentre nella maggioranza dei paesi industrializzati sta prendendo il controllo quella che e’ chiamata la “societa’ della conoscenza”, in Italia si sta sviluppando un nuovo ceto sociale, che presenta ormai i connotati di una vera e propria classe, e che sembra superare la differenza tra “conoscenza” e “produzione”, legate in ogni caso alla vecchia struttura del “possesso”, attraverso il controllo del “consenso” e della “gestione”.
Ora ovviamente io non posso essere sicuro che quanto si sta sviluppando in Italia sia una anteprima di quello che si sviluppera’ in tutta la societa’ umana, ma onestamente vedo molte analogie con le leggi di sviluppo biologico che mi fanno pensare che qualche cosa di reale in queste mie fantasie ci possa davvero essere.
Rimane il fatto, dimostrato da Carboni, che l’Italia non si sta affatto sviluppando nella direzione degli altri paesi industrializzati.
Che poi saremo i primi di un nuovo corso, o gli ultimi del vecchio, e’ tutto da vedere.
Anche se una sicurezza ce l’ho: a patirne le difficolta’ saranno sempre gli stessi, che potranno solo aumentare di numero.

 Bibliografia

[1] – Michele Castellano – Le Nuove Classi Sociali – 2004
[2] – Michele Castellano – Cosa rimane della lotta di classe – 2008
[3] – Carlo Carboni - Elite e Classi Dirigenti – Saggi Tascabili Laterza – 2007
[4] – Carlo Carboni - La Societa’ Cinica – Saggi Tascabili Laterza – 2008
[5] - Luciano Gallino – La Scomparsa dell’Italia Industriale – Einaudi - 2003

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