Informazione e Politica

Michele Castellano
(27/12/2005)

 

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In questi giorni sto leggendo un libro:

“Scienza e Politica – La lotta per il consenso” di Roger A. Pielke Jr. edizioni Laterza 2005

Non l’ho ancora finito, perche’ lo sto leggendo nei brevi periodi di trasferimento gionaliero in treno da casa al posto di lavoro, e sul tema principale del libro, l’uso della scienza in politica e la politicizzazione della scienza, se ho capito a cosa vuole arrivare, dovro’ dedicare una nota specifica.

Per il momento vorrei fare alcune osservazioni su due temi che mi hanno colpito, e stimolato in qualche modo a pensare al di la’ di quello che e’ strettamente l’argomento del libro.

Pielke presenta due diverse situazioni “tipo”, in cui la conoscenza gioca ruoli diversi nel determinare la decisione (policy) da assumere. Mi sembra faccia un poco di confusione tra scienza in quanto conoscenza e la semplice informazione (intelligence), che usa in modo apparentemente indifferenziato nei suoi esempi. Anche se svolgono l’identico effetto, non sono affatto la stessa cosa, e quindi la confusione mi sorprende, specialmente da parte di chi vuole discutere il ruolo reciproco di scienza (non intelligence) e politica. Mi piacerebbe vedere la terminologia originale inglese, per capire se non e’ una confusione di traduzione, ma non credo.

Il primo tipo di situazione e’ una in cui vi e’ un sostanziale consenso sulle azioni da prendere se si avverano certe condizioni. L’esempio riportato e’ quello di una possibile evacuazione di persone in caso di un pericolo di un tornado. E’ evidente che la gente non vorrebbe lasciare le case ed i propri beni, ma e’ anche chiaro che se un tornado di una certa intensita’ dovesse arrivare, tutti sarebbero d’accordo ad evacuare le abitazioni in favore di un riparo piu’ sicuro. In un caso del genere, la conoscenza dettagliata di quello che sta per succedere, percorso ed intensita’ del tornado, e’ essenziale per prendere la decisione, e quanto piu’ precisa e’, tanto piu’ corretta sara’ la decisione di come operare.
La seconda situazione e’ invece quella in cui non vi e’ accordo su come agire, anche in presenza di una completa conoscenza dei fatti. Gli esempi portati, di tipo molto diverso, sono la decisione se accettare o meno legalmente l’aborto, la decisione, per una donna, se sottoporsi o meno ad una mammografia, alla ricerca di un tumore che il piu’ delle volte, per fortuna, non c’e’, e la decisione se iniziare o meno la guerra in Irak, per prevenire un grosso pericolo per l’America o l’umanita’ intera.
In tutti i casi, la contrapposizione tra le diverse opzioni e’ di tipo piu’ identificabile come ideologico, basato su presupposti che hanno poco a che vedere con la particolare situazione in atto. Seppure abbastanza evidente anche nel problema dell’aborto o della mammografia, la cosa e’ eclatante nel caso della decisione della guerra in Irak, in cui la conoscenza, anche se in questo caso e’ piu’ onesto dire che l’informazione e’ stata tipicamente usata a favore di una parte.
In questo caso, come in tanti altri analoghi, la conoscenza non serve per arrivare ad una decisione comune, ma per cercare di far prevalere una decisione presa a priori rispetto ad un’altra. E’ abbastanza evidente quindi il pericolo, non solo teorico, che questa conoscenza venga adeguatamente manipolata in funzione del risultato che si vuole ottenere. Nella migliore delle ipotesi, semplicemente selezionando opportunamente le informazioni, ma spesso anche falsandole del tutto.
L’esempio della guerra in Irak e’ nello stesso tempo esemplare, ma anche fuorviante, in quanto la manipolazione dell’informazione ha raggiunto, in quel caso, livelli elevatissimi, e potrebbe lasciar pensare che situazioni del genere siano realizzabili solo quando e’ la piu’ grande potenza attualmente esistente al mondo, quello del governo degli USA, a cercare di manipolare il consenso sull’azione da intraprendere, grazie al proprio potere e alla quasi garanzia di immunita’.
In realta’ e’ invece una situazione che si presenta piuttosto spesso, perche’ molte volte ci si trova di fronte a decisioni da prendere che ricadono sotto questa classificazione. Un esempio a noi vicino, spazialmente e temporalmente, e’ la discussione che ha accompagnato ed alimentato le manifestazioni contro il passaggio della linea ferroviaria ad alta velocita’ Torino – Lione attraverso la Val di Susa. Anche in questo caso la decisione se costruire o meno la linea non puo’ essere decisa da una migliore conoscenza delle cose, ne’ fisiche, come la costituzione delle montagne, la dislocazione delle falde freatiche, la capacita’ di smaltire in modo sicuro le scorie, ne’ economiche, come la valutazione del possibile traffico sulla linea e la conseguente riduzione di quello su strada.
Entrambe le parti in causa interpretano le informazioni scientifiche non per quello che sono, ma in base ad una scala di valori che e’ del tutto indipendente, non arrivando quindi mai alle stesse conclusioni in presenza delle stesse informazioni. Inoltre, si e’ assistito ad un “adattamento” delle informazioni alla decisione presa a priori che corrisponde perfettamente a quanto osserva Pielke. Il pericolo posto dall’amianto e dall’uranio sono ovvie forzature di dati scientifici per sfruttare delle classiche “paure” popolari, mentre del pericolo dell’amianto esposto all’aria nelle cave dismesse non si preoccupa nessuno. Dell’uranio non sarebbe nemmeno il caso di commentare, se non fosse che e’ un altro esempio della “paura sociale” che qualunque cosa, anche del tutto innocua, che ha a che fare con il nucleare riesce a creare. Dall’altra parte, quella dei favorevoli, si minimizzano invece i potenziali problemi per l’equilibrio idrogeologico di un tunnel cosi’ lungo, dando per scontato che la tecnologia moderna abbia tutto sotto controllo, ignorando invece le tante sorprese poste da situazioni analoghe e non sempre risultate prive di conseguenze per l’ambiente. Entrambe le parti hanno quindi usato la scienza per dare una parvenza di razionalita’ alla decisione che avevano gia’ preso, in una situazione invece di scontro di valori e di interessi, che solo la mediazione politica, non la policy, puo’ riuscire a risolvere, chiarendo le varie posizioni, i vantaggi veri e le paure fittizie, trovando l’equilibrio di esigenze, di benefici e costi, che e’ il compito della politica trovare.
E’ ovvio pero’ che, perche’ la politica possa operare correttamente, vanno chiariti i veri interessi ed i veri danni di ogni soluzione, per cui l’informazione scientifica corretta e non falsata e’ sempre necessaria. Ogni parte la usera’ nel proprio interesse per quanto possibile, ma solo nei limiti permessi dalla correttezza dell’informazione stessa.

 

Una seconda considerazione, di un tipo completamente diverso, che oltretutto ha ben poco a che fare con il tema del libro, e’ dovuta alla presentazione che Pielke fa della dottrina della prevenzione introdotta da Bush come politica generale degli USA post “11 settembre”, e che e’ stata la giustificazione principale della guerra all’Irak.
Nelle parole di Bush stesso:

 Qualcuno ha detto che non dobbiamo agire finche’ la minaccia in sara’ incombente. Da quando in qua i terroristi e i tiranni comunicano le loro intenzioni con un cortese preavviso prima di colpire? Se si permettesse a questa minaccia di presentarsi all’improvviso in tutta la sua gravita’, poi ogni azione, ogni parola, ogni recriminazione sarebbero tardive. Confidare nell’equilibrio mentale e nel ritegno di Saddam Hussein non e’ una strategia e neanche un’alternativa possibile.
[G.W. Bush – State of the Union, 28 Gennaio 2003]

 Non ho certo intenzione di discutere della correttezza, liceita’, democraticita’ etc di questo dichiarazione e della politica che ne e’ seguita, come non fa nemmeno Pielke, che considera solo le sue interazioni con l’informazione. Sono rimasto invece colpito da un aspetto ben piu’ generale che ne consegue.
Chi ha letto qualche altro mio scritto, ed in particolare la nota, piuttosto provocatoria, sulle “Nuovi Classi Sociali”, sapra’ che mi piace fare analogie tra lo sviluppo della societa’ umana e l’evoluzione della vita sulla Terra. Ovviamente non e’ un parallelismo assoluto, ci mancherebbe altro, pero’ sono entrambi Sistemi Complessi che hanno molti aspetti di evoluzione in comune, come forse e’ vero per tutti i Sistemi Complessi che nascono da un certo tipo di “regole”. Ma questo e’ un discorso tecnico, abbastanza “nuovo” e non ancora formalizzato ne’ capito a sufficienza.
Tornando all’argomento, nell’evoluzione della vita esiste un effetto di feedback positivo, che puo’ anche essere chiamato “ vantaggio di posizione” o, piu’ esplicitamente, “diritto del piu’ forte”, in base al quale un organismo che ha assunto una posizione dominante in una certa nicchia ecologica e’ in grado di impedire lo sviluppo di organismi teoricamente piu’ adatti di lui ad occupare quella stessa nicchia, semplicemente perche’ si trova in posizione di forza. L’evoluzione non e’ quindi la semplice selezione della mutazione casuale che si dimostra piu’ adatta alla situazione reale, ma e’ anche una lotta in cui le forze delle diverse parti non sono affatto uguali, ed in cui il piu’ adatto, se e’ anche il piu’ nuovo, molto spesso soccombe o e’ relegato in posizioni del tutto trascurabili. Solo quando la pressione evolutiva diventa troppo forte, perche’, per la variazione delle condizioni ambientali, l’adattamento della specie predominante non e’ piu’ abbastanza buono, e, proprio per la stessa sua forza, non ha la duttilita’ per modificarsi opportunamente, o per qualche evento traumatico che modifica sensibilmente, e di colpo, le condizioni ambientali stesse, che le nuove specie piu’ adatte possono conquistare il loro posto nella societa’ della vita.
La dottrina della prevenzione rappresenta, nello sviluppo della societa’ umana, proprio l’esplicitarsi di questo fenomeno di feedback positivo, in un mondo ormai globalizzato ed in cui la “specie sociale” dominante, o quasi, e’ una sola. E’, di fatto, l’impedimento di ogni sviluppo, la soppressione all’origine di ogni “mutazione” che possa essere piu’ adatta, piu’ efficiente, o, in termini evolutivi, migliore.
E’ quindi, per analogia, sospettabile che solo un cambiamento delle condizioni “ambientali”, come qualche grossa scoperta tecnologica, o, al contrario, la fine del petrolio in assenza di una reale alternativa, possa alla lunga, ed attraverso lotte abbastanza intense, portare al predominio di forze sociali piu’ adatte alle nuove condizioni.
A meno che non sia, come spesso e’ stato nella storia evolutiva della vita terrestre, un grosso cataclisma naturale a fare la differenza.

Solo che in questo ultimo caso, ben lungi dall’essere improbabile, potrebbe essere l’intera umanita’ a non mostrarsi piu’ la “piu’ adatta”.

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