La Lega e lo spirito contadino

Michele Castellano
(02/05/2008)

Le ultime elezioni, che hanno comportato l’esclusione di tutti i partiti di sinistra-sinistra dal Parlamento italiano, hanno reso evidente un processo in atto da alcuni anni, e cioe’ lo spostamento del voto operaio del Nord Italia verso partiti di destra, ed in particolare verso la Lega.
Le analisi dei flussi elettorali per queste ultime elezioni pubblicate da Il Sole 24 Ore danno un 8% dei voti totali della Lega derivati da elettori che avevano precedentemente votato per i partiti della Sinistra Arcobaleno, percentuale che diventa del 10% se ci si limita alle regioni del Nord. E’ una percentuale di per se’ non enorme, che pero’ si aggiunge alla deriva gia’ visibile da tempo e che era stata evidenziata da Cacciari e da Illy, superando oggi il limite per cui l’effetto non puo’ piu’ essere nascosto o trascurato.
Ovviamente ora si sprecano le spiegazioni sociologiche di una cosa che appare ancora a molti del tutto aberrante e quasi incredibile, ma che e’ invece, secondo me, una semplice applicazione di un vecchissimo meccanismo di autodifesa.
Per capirlo, bisogna partire dal fatto che ho cercato di illustrare nel recente articolo Cosa rimane della lotta di classe?, e cioe’ che gli operai occidentali stanno velocemente perdendo la coscienza di classe, la coscienza di un interesse comune e quindi la capacita’ di proporre una soluzione alternativa di societa’ che sia di coagulo ed indirizzo delle proteste e rivendicazioni di tutti i vari ceti sociali penalizzati. Come conseguenza lo scontro sociale si sta frammentando nella difesa del proprio particolare interesse da parte di ogni singolo ceto o gruppo, scollegato e spesso in conflitto con quello degli altri. La mancanza di una proposta di societa’ globale alternativa all’esistente comporta anche una diminuizione di attenzione agli interessi collettivi in favore di una maggiore importanza data al privato.
Infatti tutte le indagini sociologiche che cercano di capire le ragioni di questo cambiamento apparentemente radicale di posizione politica mettono in evidenza come venga ormai data priorita’ a valori come il reddito e la sicurezza personali, mentre gli interessi collettivi non vanno piu’ lontano di un “cerchio empatico” che tende a restringersi e che abbraccia sicuramente la famiglia ma raggiunge sempre piu’ a fatica le dimensioni di un piccolo paese.
Riguardando pero’ la storia dell’umanita’, risulta evidente che questo e’ il tipico atteggiamento che ha sempre avuto la civilta’ contadina in presenza di “buriane” sociali di cui erano inconsapevoli vittime.
Rinchiudersi nel proprio particolare, mantenere rapporti di reciproco aiuto solo con i propri diretti vicini, gli unici a condividere direttamente pericoli e vantaggi, ignorare ogni altra cosa, e in particolare non farsi coinvolgere emotivamente in quello che stava succedendo e’ stata l’estrema risorsa dell’evoluzione sociale umana. La buriana passava lasciando dietro di se’ morti e macerie, ma anche sempre qualcuno che riusciva, nel suo piccolo, a rimanere indenne e poteva ricominciare la normale attivita’: coltivare i campi, produrre abbastanza da mangiare per se’ e propria famiglia e, anche se con molta fatica, qualcosa per chi comandava.
Piu’ di diecimila anni di evoluzione umana sono dovuti anche a questo atteggiamento di autodifesa tipico di chi e’ legato alla terra e dalla terra, dalla “sua” terra, ritrae di che vivere. Quando avvenimenti piu’ grandi di te, che non sei in grado di capire e di controllare, mettono in pericolo la tua esistenza, pensa solo a te e a chi ti e’ particolarmente vicino e non preoccuparti di altro, richiuditi nel tuo particolare e pensa solo alla tua sopravvivenza, con tutto l’egoismo di cui sei capace. Questa e’ la regola che ha permesso la sopravvivenza della razza umana attraverso i millenni, superando tutte le sventure e le violenze dovute quasi sempre a se’ stessa.
Questo apparente egoismo, questa chiusura nel particolare, nel rifiuto di considerarsi responsabili anche solo in parte di quello che succede ad altri anche se vicini, e’ un meccanismo di sopravvivenza che si e’ dimostrato estremamente efficace nel corso dei millenni, ed assomiglia molto alle tecniche di difesa dei branchi di animali o degli stormi di uccelli, ed e’ diventato quasi istintivo per chi dalla terra ricava la propria vita ed alla terra vuole rimanere legato, rifuggendo da meccanismi di difesa piu’ ovvi, come la fuga verso zone piu’ tranquille, lasciando questa opzione per le situazioni piu’ disperate.
Il mondo contadino non e’ certo stato esente da manifestazioni collettive, anche molto violente, come spesso si e’ potuto verificare, ma mai con la capacita’ di proporre e sostenere una versione alternativa di societa’. La societa’ ideale per un contadino e’ quella in cui ognuno possiede la terra che puo’ coltivare, e crede sempre di poter coltivare piu’ terra di quella che possiede o spera di possedere. Ma al di la’ della violenza occasionale, che richiede una azione collettiva e coordinata, la filosofia di base del contadino e’ sempre molto individualista, e tale atteggiamento diventa del tutto predominante nei periodi di pericolo. Questo isolamento nell’interesse personale, questa durezza nel non voler farsi coinvolgere in situazioni e in argomenti di interesse piu’ generale e’ anche il limite della loro societa’, limite che e’ sempre apparso anche nei periodi storici in cui manifestazioni di violenza collettiva, che poteva chiamarsi rivoluzionaria, accompagnata a speranze di una societa’ migliore, si erano diffuse nel mondo delle campagne.
Vi e’ poi da considerare che l’Italia e’ uscita da una condizione di civilta’ totalmente contadina solo dopo la Seconda Guerra Mondiale, attraverso l’industrializzazione a tappe forzate degli anni ’60 del secolo scorso, che e’ appena mezzo secolo fa. Questo significa che la maggior parte degli appartenenti alla classe operaia del Nord Italia lo sono al massimo come seconda generazione, ed e’ sicuramente presente una non piccola parte di recente immigrazione dal sud che e’ diventata classe operaia solo in tempi recenti, ma questo e’ vero anche per diversi strati sociali del Nord Est, in cui l’industrializzazione, violenta e totalizzante, e’ avvenuta ancora piu’ di recente.
Non puo’ quindi sorprendere se di fronte ad un periodo economicamente difficile, venute a mancare alcune delle maggiori sicurezze ideologiche della “classe operaia” che l’avevano caratterizzata storicamente, poco alla volta molte persone, se non la maggioranza, sono tornate al vecchio e quasi istintivo meccanismo di autodifesa, concentrandosi sull’interesse privato e sulla sicurezza personale, rifiutando automaticamente qualunque coinvolgimento in problemi “generali”.
L’esperienza di classe operaia era troppo recente e non completamente assimilata per poter mantenere una presa istintiva anche nella situazione che si e’ presentata in questo periodo, per cui i vecchi istinti contadini hanno preso il sopravvento.
Di questa situazione ha potuto approfittare la proposta politica della Lega Nord, perche’ piu’ si avvicina a questi bisogni primordiali e individualistici.
La Lega nasce come movimento secessionista, ma si adagia presto su una posizione politica in cui predomina l’aspetto federativo, anche se pulsioni secessioniste sono sempre presenti. L’elemento fondamentale pero’, al di la’ del puro folclore tribale celtico, e’ un forte sostegno all’individualismo di clan, all’interesse del ‘villaggio” contrapposto a quello piu’ generale della “nazione” o addirittura di quello di “internazionalismo” propria della classe operaia.
Esprime quindi valori molto piu’ adatti ad intercettare la nuova “necessita’ “ politica dei ceti operai del nord di quanto siano quelli espressi dai tradizionali partiti politici sia borghesi che socialisti o comunisti.
E questo spiega il successo elettorale superiore ad ogni previsione della Lega Nord alle ultime elezioni.
Ma e’ anche un limite per il suo sviluppo, perche’ se la mia analisi di un richiudersi intorno al perenne istinto contadino da parte di molti ceti produttivi del Nord e’ almeno in parte corretta, cio’ significa anche che la Lega potra’ usare questo consenso per una concreta ed efficace amministrazione locale, ma non potra’ mai usarlo per una condivisa politica nazionale o addirittura di una localita' piu' estesa, intendendo con questo un interesse che superi le dimensioni di una cittadina.
Se questo rappresenta, a mio parere, un limite al possibile sviluppo della Lega, e’ nel contempo una grossa difficolta’ per il recupero del consenso da parte dei partiti di sinistra, che non possono certo entrare in banale concorrenza diretta nel favorire gli istinti individualistici che stanno predominando, e dovranno invece impostare una politica di lungo periodo tesa a dimostrare, ancora una volta, l’utilita’ anche per l’individuo di una maggiore solidarieta’ per ridurre le eccessive differenze sociali e di reddito.
E’ forse un tornare alle origini, ma che richiede anche il ripensamento dei ceti sociali da coinvolgere, in assenza di una “classe operaia” egemone e trainante, e una ridefinizione in chiave moderna, in un mondo che si avvia verso una globalizzazione completa, di quali interessi si vogliono difendere e con che mezzi, visto che gli Stati Nazione sono in gran parte impotenti contro i nuovi imperi economici sovrannazionali.
E’ un periodo di mutamenti che richiede prontezza nelle risposte, in cui il successo della Lega nel Nord Italia e’ contemporaneamente un sintomo importante e un dettaglio insignificante.

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