L’Universita’ invecchia e i giovani rimangono fuori

 Michele Castellano
(19/01/2008)

 

Un articolo del Prof. Rizzolatti su La Stampa del 9/1/2008, seguito prontamente dalla risposta del Ministro Mussi sempre sullo steso quotidiano, ha acceso i riflettori pubblici su una questione che sembrava ristretta solo all’ambito dei diretti interessati, ma che invece e’ di importanza per l’intero paese.
Il problema specifico e’ rappresentato dall’eta’ e dalle modalita’ di pensionamento dei Professori universitari, ma il problema vero e’ l’eta’ media troppo alta dei Docenti universitari italiani e la conseguente difficolta’ di inserimento per i giovani, con deterioramento della qualita’ sia dell’insegnamento che della ricerca.
L’argomento del contendere e’ la norma inserita nella Finanziaria 2008 che gradualmente elimina per i Professori Ordinari la possibilita’ di essere posti “fuori ruolo”, conservando funzioni e progressione stipendiale, dai 72 anni di eta’, in cui scatta l’eta’ pensionabile, fino ai 75 anni.
Il Prof Rizzolatti, che ha 71 anni, faceva notare che in questo modo una persona di prestigio internazionale, a cui viene nello stesso tempo offerto un posto prestigioso all’estero, e’ invece cacciata definitivamente dall’Universita’ italiana, introducendo cosi’ una discriminazione per eta’ e non valutando il merito.
Al di la’ del tono un po’ supponente ed in fin dei conti sgradevole usato da Rizzolatti, l’argomento portato ha una sua oggettiva validita’, in quanto non si vede perche’ ci si debba privare della competenza e capacita’ di chi e’ ancora in grado di dare grossi contributi costringendolo magari ad accettare offerte dall’estero.
Mussi ha pero’ buon gioco a dimostrare chel’argomento della discriminazione per l’eta’ eliminerebbe del tutto il principio dell’eta’ pensionabile, aggiungendo inoltre che il continuare a contribuire allo sviluppo della ricerca non deve significare necessariamente mantenere una carriera con progressione economica fino a 75 anni, a scapito dei piu’ giovani.
Credo che entrambe le posizioni abbiano delle ragioni, ma non sono ragioni che si controbilanciano, perche’ secondo me a prevalere sono quelle di Mussi, purche’ non ci si limiti ad un palliativo come quello di eliminare il “fuori ruolo” ma si riorganizzi la carriera dell’`universita’ e della Ricerca.
In un articolo pubblicato su Le Scienze a Gennaio 2006, F. Sylos Labini e S. Zapperi gia’ presentavano delle statistiche molto allarmanti sull’eta’ media dei docenti italiani, molto superiore a quella delle altre nazioni sviluppate., e sullo scarsissimo numero di persone giovani. I due anni passati da allora, senza che nulla sia cambiato, hanno sicuramente peggiorato la situazione.
D’altra parte credo sia successo a diverse persone di vedere professori molto anziani recitare lezioni ripetitive, senza piu’ alcuno stimolo ad innovarsi, senza piu’ la forza di fare qualcosa di diverso oltre la lezione standard. Questi non sono piu’ una risorsa per l’universita’, ma un peso economico e scientifico/didattico. In compenso i giovani devono aspettare anni in posizioni precarie, e questo e’ anche l’humus per clientelismi e favoritismi vari, cioe’ quanto di piu’ lontano ci sia per permettere una valutazione di merito.
A fronte di questa situazione privilegiata dei professori universitari, che credo trovi paragone solo per i magistrati, per i ricercatori degli Enti di Ricerca l’eta’ pensionabile e’ a 65 anni. Possono chiedere 2 anni di proroga, a discrezione del loro ente, poi devono inevitabilmente abbandonare l’attivita’. Individualmente possono cercare di ottenere contratti di consulenza di qualche tipo, ma non c’e’ nulla di istituzionale e di trasparente.
Pero’ la loro attivita’ di ricerca non e’ diversa da quella dei professori universitari, che hanno inoltre l’obbligo della didattica frontale, cioe’ lezioni ed esami.
Credo non ci siano dubbi che e’ proprio l’attivita’ didattica quella che diventa piu’ critica con l’eta’, perche’ e’ indubbiamente faticosa fisicamente, ha orari obbligati ed e’ un servizio ad un’utenza che ha il diritto ad una prestazione di livello adeguato. In altre parole, se per l’eta’ un docente si trova in difficolta’ nello svolgere l’attivita’ di ricerca, il danno e’ solo economico per lo stato che paga uno stipendio ottenendo poco in cambio, ma se e’ la didattica ad essere in difficolta’, saranno gli studenti a pagarne il prezzo, e questo non e’ accettabile.
Io credo quindi che l’eta’ pensionabile debba essere uguale sia per i professori universitari che per i ricercatori degli enti di ricerca. Quale debba essere l’eta’ ragionevole puo’ essere discusso tenendo conto delle esigenze previdenziali, dell’allungamento dell’eta’ media e della esigenza di avere una distribuzione equilibrata di eta’ tra i docenti e i ricercatori.
Raggiunta questa eta’, che deve essere senza eccezioni, tutti quanti devono lasciare il “ruolo” con relativa progressione economica e passare al regime pensionistico. I professori universitari, in particolare, devono cessare ogni attivita’ didattica frontale, cioe’ lezioni curriculari ed esami relativi.
Deve pero’ essere possibile, per tutti coloro che lo desiderano, continuare in modo ufficiale  ma gratuitamente l’attivita’ di ricerca, usufruendo solo dei finanziamenti per le spese di ricerca e per i viaggi, e senza poter ricoprire cariche direttive o di responsabilita’ di qualunque genere. Questo permetterebbe di non sentirsi inutili quando si puo’ ancora contribuire significativamente alla ricerca ed aiutare i giovani a maturare, ma senza bloccare lo sviluppo di responsabilita’ da parte delle generazioni successive.
Io credo che troppo spesso il mantenere cariche e responsabilita’ di gestione da parte di persone molto anziane non abbia nulla a che vedere con la loro indispensabilita’ o maggiore capacita’, ma quasi sempre sia conseguenza del principio di conservazione del potere, che e’ uno dei principali problemi dell’universita’ italiana. Si poteva pensare che dopo il ‘68 i Baroni fossero ormai un ricordo per l’Universita’, ma purtroppo questo non e’ vero, come anche la stessa lettera del prof Rizzolatti sembra dimostrare. E si e’ Baroni per il modo di gestire il potere, per il non volerlo mai lasciare, per i rapporti che si instaurano con gli allievi, indipendentemente dalla capacita’ individuale.
Non ho volutamente inserito, in questa proposta, alcun elemento di valutazione individuale dell’attivita’ di ricerca per permetterne la continuazione anche durante la pensione perche’ ritengo che la valutazione periodica, sia individuale che di gruppo, debba essere una costante dell’attivita’ di ricerca e base sostanziale di ogni possibilita’ di finanziamento. Da cui si avrebbe la conseguenza che il peso di una persona poco attiva ed efficace ridurrebbe le potenzialita’ di ottenere le risorse richieste.

Se poi si presentasse il caso eccezionale di qualche persona straordinaria che risultasse unica per qualche scopo, dovrebbe essere trattato proprio come un’eccezione, in modo aperto e trasparente, con qualcuno che se ne assume personalmente la responsabilita’.

Io pero’ rimango dell’opinione che arrivati nei dintorni dei 70 anni si puo’ essere ancora molto utili, ma credo che piu’ nessuno sia indispensabile.

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