Paul Di Filippo

La Trilogia Steampunk

ed. Delos Books 2011 (The Steampunk Trilogy 1995)

Cos'è accaduto alla regina d'Inghilterra? È realmente lei la creatura dagli strani appetiti che da qualche tempo siede sul trono dell'Impero Britannico? Da dove vengono i mostri dell'abisso lovecraftiano che minacciano il Massachusetts? In quale curiosa epoca sono stati condotti i poeti amanti Walt Whitman ed Emily Dickinson? Tra i tanti sottogeneri del fantastico, della fantascienza e del fantasy, lo steampunk è uno dei più affascinanti, con i suoi scenari vittoriani, con le sue straordinarie tecnologie senza elettronica ed elettricità basate su ingranaggi e motori a vapore.
Tra i pionieri del genere, che annoverano nomi come Tim Powers, William Gibson, Bruce Sterling e Alan Moore con la sua Lega degli Uomini Straordinari, un posto particolare spetta a Paul Di Filippo, primo a usare il termine steampunk in un titolo proprio con il presente libro. Tre storie ambientate nel diciannovesimo secolo, in una girandola di avventure narrate con l'arguzia e il consueto filo d'ironia che caratterizzano questo autore.

Lo Steampunk è un sottogenere della letteratura fantastica che ha avuto una definizione, peraltro non universalmente condivisa, solo negli ultimi anni. I suoi affezionati lettori stanno aumentando in continuazione, in parallelo con lo sviluppo del genere stesso, ma io non sono tra gli entusiasti. Ci sono aspetti nello Steampunk che mi piacciono poco, perchè troppo esagerati, portati oltre i limiti del ragionevole, del comprensibile. Questo mio limite è valido anche per altri aspetti del fantastico, ed è la ragione principale per cui non provo alcun gradimento per il Bizzarro, in quasi ogni sua forma.
Però questa
Trilogia Steampunk di Paul Di Filippo mi è piaciuta abbastanza, quasi molto. La ragione può essere intuita dalla prima frase dell'introduzione di Salvatore Proietti:
"Questo non è un libro Steampunk"
solo leggermente alleviata dalla frase successiva:
"O almeno non segue i modelli che in questi ultimi anni stanno dando nuova popolarità al termine".
Io non sono d'accordo con la prima affermazione di
Proietti, perchè non riconosco una validità assoluta alle varie definizioni di generi e sottogeneri che si stanno espandendo in modo preoccupante, in accordo con quanto si sostiene nel link che ho messo all'inizio. Continuando così si finirà che ogni romanzo, che non sia una plateale imitazione di un altro, rappresenterà l'unico esempio del suo specifico sottogenere. Credo che bisognerà porre un limite a questa ansia di specializzazione, ed accettare che entro una definizione ampia di genere esistano molte possibili chiavi di lettura, interpretazioni diverse e qualche volta anche contrastanti, se molti dei paradigmi principali sono comuni.
Per cui ritengo che questi racconti di
Di Filippo possano del tutto onestamente identificarsi come Steampunk, seppure non del tutto coerenti con la visione ristretta che la definizione ha ora, e che rappresentano anche uno dei migliori esempi di questo sottogenere, che avrebbe molto da guadagnare se tornasse a seguire una visione più ampia e meno settaria.
L'aspetto
Punk è molto presente in tutti e tre i racconti e lo Steam è evidente nella commistione tutta ottocentesca tra scienza e spiritualismo, e nella visione positivista del loro sviluppo comune. C'è molta similitudine di stile e di filosofia narrativa tra questi racconti di Di Filippo e Mari Stregati di Tim Power (non ho ancora letto il suo Le Porte di Annubis), ad indicare che all'origine dello Steampunk, quando forse si chiamava ancora gonzo-historical, c'erano idee comuni.
Il primo racconto,
Vittoria, è quello in cui l'aspetto scientifico e tecnologico è più presente, come anche lo steam attuale prevede, e con tutto il punk che si può desiderare, compresa una esplosione nucleare da eccesso di ottimismo scientifico e di reale conoscenza delle leggi della fisica, come l'atteggiamento dell'epoca può far facilmente ritenere ragionevole. L'ironia di fondo del racconto, in cui una giovane Vittoria, erede del regno d'Inghilterra, è sostituita per necessità da un ibrido biologico ottenuto con geni umani immessi in un tritone, risultando una persona di aspetto splendido, con un poderoso appetito sessuale e con la tendenza a mangiare gli insetti che gli passano vicini, è a mio parere di alto livello, così come è estremamente divertente, nella sua razionalità, la spiegazione finale.
Il secondo racconto,
Ottentotti, ha invece pochi elementi tecnologici e si avvicina di più ai temi di Tim Power, con personaggi che letti oggi possono sembrare delle totali invenzioni, mentre sono invece ritratti un poco romanzati di persone realmente esistite, o quasi. Qui l'aspetto sovrannaturale tende a predominare, ma è la descrizione dei personaggi, alcuni bizzarri ed altri decisamente odiosi, che rappresentano perfettamente certi aspetti non gradevoli del periodo degli Imperi Coloniali, ad essere il nucleo della narrazione. Un vero gonzo-historical al suo meglio.
Il terzo racconto,
Walt ed Emily, può essere probabilmente apprezzato meglio da chi conosce la produzione poetica di questi due famosi artisti. Non è questo il mio caso, ma le loro biografie che ho letto per l'occasione dimostrano come Di Filippo abbia giocato elegantemente con le stesse, ricostruendo un incontro che, probabilmente, non c'è mai stato ma che diventa una giustificazione per la loro vita successiva. Credo che molti dialoghi siano parafrasati dalle loro poesie, ma ovviamente questo mi sfugge. La trama è ancora una volta basata sulla visione positivista e "scientifica" dello spiritualismo contrapposta alla razionalità illuminista. E' il racconto che ho apprezzato di meno, ma credo più che altro per colpa mia.

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