China Mieville

Il Treno degli Dei

ed. Fanucci 2005 (Iron Council - 2004)

È tempo di rivolte e rivoluzioni, conflitti e intrighi. New Crobuzon sta cadendo a pezzi. Da un lato la guerra contro l’arcana, oscura città-stato di Tesh, dall’altro i ribelli che si aggirano per le strade portando la metropoli sull’orlo della rovina. Nel mezzo dei disordini, una misteriosa figura mascherata incita a una nuova forma di ribellione, mentre tradimenti e violenze si manifestano in luoghi inconsueti.
Per sfuggire al caos e alla repressione, un piccolo gruppo di rinnegati è fuggito dalla città e ha attraversato terre straniere, alla ricerca di una speranza perduta, di una leggenda immortale. Cosí, nelle tragiche ore in cui sangue e orrore dilagano a New Crobuzon, si diffonde una voce: sta giungendo il momento del Concilio di Ferro.
Fondendo con crescente maturità e padronanza registro immaginifico e riflessione politica, Miéville aggiunge un nuovo, fondamentale capitolo al ciclo dedicato a New Crobuzon, confermandosi autore di punta della nuova letteratura fantastica di lingua inglese.

Perdido Street Station era stata una novita' sconvolgente, per il linguaggio, il ritmo, ma sopratutto per il contenuto. Un mondo assurdo, complesso, pericoloso, intricato eppure cosi' logico per chi vi apparteneva e vi viveva. E su tutto dominava l'umore, la puzza, la miseria e la grandezza di New Crobuzon, la citta'.

La Citta' delle Navi e' stata una sorpresa, perche' praticamente nulla del mondo descritto nel primo romanzo vi riappariva, se non il coacervo di razze, il miscuglio di scienza obsoleta e scienza taumaturgica, e la presenza, lontana ma sempre opprimente, di New Crobuzon. Pero' quel secondo romanzo permetteva di ampliare la visuale su questo strano mondo, di vederne aspetti prima sconosciuti o solo accennati, di cogliere sottintesi ad ulteriori complicazioni e misteri, sempre sotto la guida e l'incanto della capacita' narrativa di Mieville, della sua fantasia sfrenata.

Il terzo romanzo, questo "Il Treno degli Dei", spiazza ancora una volta. Siamo tornati a New Crobuzon, poche decine di anni dopo il primo romanzo, ma molto e' cambiato, sia nella citta' che nello stile del romanzo. Mentre in Perdido Street Station la descrizione delle varie razze era dettagliata, puntuale, intima, nel tentativo di rendere comprensibile al lettore, anche se con difficolta', la logica, la filosofia di vita di queste strane creature, compagne di percorso di umani strani a loro volta, di renderle empaticamente accettabili, di giustificare, per quanto possibile, aberrazioni e assurdita' rendendo evidente le ragioni che le giustificavano, in questo terzo romanzo non vi e' nulla di tutto questo. Non che non vi facciano la loro comparsa nuove e piu' complesse razze, miscugli, spiriti esoterici, ma semplicemente vengono date per scontate, sono ovvie presenze. Non vi e' piu' alcun aiuto ad entrare nel clima e nella logica di questo mondo. L'attenzione si sposta su un altro piano, il piano sociale e politico, completamente trascurato, anche se non invisibile, nel primo romanzo, e solo accennato nel secondo. Il sociale e' il vero protagonista di questo romanzo, il sociale di una citta' industriale, schiavista, capitalista e quindi anche libertaria, socialista ed utopica. Ma questo non e' un saggio, sia chiaro. E' una storia. Una storia tumultuosa, rappresentata con immagini vive, anche se con un passo accelerato, una storia in cui il sangue scorre forte nelle vene, e spesso sul terreno, in cui le passioni soverchiano la razionalita', come sempre succede quando in un momento di tensione sociale scoppia una rivolta. Un'altra differenza evidente, rispetto al primo romanzo, e' che questa volta l'intera vicenda e' guardata, e narrata, da un solo punto di vista. Mentre in Perdido Street Station il lettore veniva a conoscenza, come in quasi tutti i romanzi, dei pensieri, delle motivazioni, delle ragioni delle azioni di tutte, o quasi, le parti in gioco, nel Treno degli Dei questo non avviene, e quindi niente si sapra' della guerra contro Tesh, delle sue ragioni, del suo svolgimento, se non per le ripercussioni che ha su quella parte della popolazione di cui vengono seguite le vicende. Nemmeno di Tesh stessa si sapra' mai nulla, della sua storia, della sua natura, nemmeno del suo potenziale bellico, e lo scontro finale taumaturgico sara' impossibile da inquadrare in una logica conosciuta, sara' senza spiegazioni. Come nulla si sapra' del perche' il governo della citta' agisce come agisce. Questa scelta narrativa ha pero' una ragione, che e' quella di lasciare il lettore nelle identiche condizioni di conoscenza dei personaggi che sta seguendo, in modo che possa capire meglio, anche emotivamente, le ragioni delle loro scelte, e dei loro errori, rendere evidente la mancanza di alternative, le cause della rabbia per le condizioni di vita, senza alcun modo di capire eventuali ragioni giustificative. Indubbiamente in questo modo si ha una spinta forte per il parteggiare per la fazione che e' l'interprete principale della storia, ma e' un effetto voluto, per rendere ancora piu' evidente, spiacevole, doloroso, il suo fallimento.

Non e' questo il posto per discutere dell'aspetto politico della vicenda narrata, anche se ne rappresenta l'essenza stessa. In un mondo di sofferenze, prevaricazioni, sfruttamento, le cui ragioni spesso sfuggono al lettore, e sono sconosciute ai soggetti stessi, Mieville parteggia apertamente per la ribellione spontanea che qualche eccesso, e le condizioni contingenti, hanno reso possibile. Parteggia per i rivoltosi, ma descrive anche molto bene le ambiguita' della rivolta, la sua sostanziale mancanza di prospettiva pur nella generosita' del tentativo, la difficolta' di decidere tra l'agire ed il ragionare. Un socialismo utopico che nel mondo reale, per quanto immaginario, di New Crobuzon non puo' che risolversi in una repressione feroce. Il finale triste e' inevitabile, ma la fantasia della sua soluzione, pur nell'artificiosita' piuttosto evidente, e' un grido verso la speranza futura, il modo per cercare di tenere accesa una fiaccola verso un mondo migliore, anche se impossibile da realizzarsi nell'attuale. Ci sono moltissimi spunti intelligenti, sul piano politico, che il romanzo presenta e a volte risolve e a volte lascia nell'ambiguita', ma di questo ne parlero' altrove, se ne avro' occasione.

Tornando invece al romanzo, a me sembra che la costrizione imposta dal voler in fin dei conti raccontare una parabola, pone troppi limiti alla storia stessa e alla fantasia dell'autore, rispetto ai suoi precedenti. L'aspetto politico predomina, in modo forse ecessivo, e anche la scelta narrativa di limitare il punto di vista rende molto meno pirotecnica la storia, meno comprensibili gli avvenimenti, che rimangono spesso ingiustificati. Alla fin dei conti un romanzo molto buono, ma inferiore ai due che lo avevano preceduto.

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