Andrzej Sapkowski

La Spada del Destino

ed. Nord 2011 (Miecz przeznaczenia - 1993)

Geralt di Rivia è uno strigo, un assassino di mostri. Ed è il migliore: solo lui può sopraffare un basilisco, sopravvivere a un incontro con una sirena, sgominare un’orda di goblin o portare un messaggio alla regina delle driadi, fiere guerriere dei boschi che uccidono chiunque si avventuri nel loro territorio… Geralt però non è un mercenario senza scrupoli, disposto a compiere qualsiasi atrocità dietro adeguato compenso: al pari dei cavalieri, ha un codice da rispettare. Ecco perché re Niedamir è sorpreso di vederlo tra i cacciatori da lui radunati per eliminare un drago grigio, un essere intoccabile per gli strighi. E, in effetti, Geralt è lì per un motivo ben diverso: ha infatti scoperto che il re ha convocato pure la maga Yennefer, l’unica donna che lui abbia mai amato. Lo strigo sarà dunque obbligato a fare una dolorosa scelta: difendere il drago e perdere Yennefer per sempre, o infrangere il codice degli strighi pur di riconquistare il suo cuore…

Il primo romanzo apparso in Italia, Il Guardiano degli Innocenti, non mi era piaciuto per niente. Fatto di racconti separati l'uno dall'altro, senza un minimo di connessione logica tra loro, molti decisamente eccessivi nel cercare l'esagerazione e lo splatter a tutti i costi, basati anche su vecchie favole tradizionali con la conseguenza che nonostante lo stravolgimento scontato della storia, o forse proprio a causa di questo, erano molto prevedibili nel loro svolgimento. Il Guardiano degli Innocenti è posteriore a questo La Spada del Destino, ma in realtà contiene per la maggior parte racconti scritti in precedenza e ripubblicati come una nuova raccolta.
Molte delle ragioni che mi avevano reso sgradevole
Il Guardiano degli Innocenti sono ancora presenti in questo secondo volume, ma appaiono anche aspetti positivi che nel mio giudizio lo fanno passare ad un livello leggermente superiore, tanto da farmelo consigliare per la lettura di questo mese, anche se non solo non è una buona narrazione, ma spesso è al limite della sufficienza.
I personaggi sono sostanzialmente delle macchiette, tutti, anche i principali, perchè sono sempre esagerati in tutti i loro aspetti e nelle loro emozioni. Lo stile di scrittura rispecchia questa scelta, mescolando un narrativo fabuloso ad un narrativo ironico e a volte decisamente comico. Niente è preso sul serio, ma tutto è esposto seriamente all'occhio divertito dello spettatore che sa di vedere uno spettacolo, non una scena reale. I dialoghi sono molto ben gestiti, e scorrono facilmente, con una ironia di fondo sempre presente, con la continua consapevolezza che nessuno si prende mai troppo sul serio, come se sapesse di recitare su di un palcoscenico per rappresentare al meglio possibile un personaggio del tutto irrealistico. Questo aspetto è forte nelle parti di descrizione, di ambiente, mentre le parti introspettive, di autoanalisi ed autocommiserazione, dove
Sapkowski cerca di costruire la psicologia dei suoi personaggi, sono invece troppo prolungate, intricate e al livello soporifero del primo volume, anche se per fortuna sono decisamente di meno.
Quando si arriva però alle scene di azione, tutto cambia d'improvviso, perchè
Sapkowski sa far vedere quello che succede con estrema efficacia, sa descrivere i movimenti dei singoli come quello di più persone, di umani come di mostri con arti ed appendici del tutto peculiari. In poche parole, rende visibile l'azione che avviene per quella che è, in tutti i suoi dettagli, con un punto di vista saldo nella testa di Geralt.
Questa volta i diversi capitoli (racconti) hanno una consequenzialità e una coerenza che fanno avvicinare l'intera narrazione ad un vero romanzo, e il penultimo capitolo (racconto), che dà il titolo all'edizione italiana, da solo rappresenta un ben riuscito tentativo di dare unità al tutto, e riunifica il passato e condiziona il futuro.
Nello sviluppo successivo della storia di Geralt di Rivia questo episodio rappresenterà un momento che dà indirizzo al tutto.
Un problema deriva dal fatto che successivamente alla pubblicazione di questi racconti e dei successivi romanzi, è stato sviluppato un
Gioco di Ruolo che ha avuto un successo internazionale prima dei romanzi stessi. Anche dovuto al fatto che nelle diverse lingue si sono avute traduzioni da fonti diverse dall'originale, come per la versione italiana ottenuta da quella inglese, nomi e denominazioni varie non sono sempre corrispondenti alla versione originale, mentre Sapkowski ha esplicitamente richiesto che i romanzi venissero tradotti solo dall'originale polacco. Questo ha comportato delle variazioni rispetto alle abitudini degli appassionati del gioco, che se ne sono lamentati.
Io ritengo che da un gioco di ruolo sia praticamente impossibile derivare dei romanzi di qualità, e tutti gli infiniti prodotti con lo stampino da DD o equivalenti stanno lì a dimostrarlo, ma è anche difficile che da un buon romanzo di qualità possa derivare un soddisfacente gioco di ruolo, e questo caso lo conferma: il gioco è decisamente superiore alla qualità dei romanzi.
Il ogni caso, pur con tutti i limiti esposti, credo che
La Spada del Destino meriti una lettura attenta, perchè contiene aspetti del fantastico non facile da trovare, oggi, in altri romanzi. E se si è coscienti che non si sta leggendo un capolavoro, la soddisfazione della lettura è adeguata.

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