Alastair Reynolds

Redemption Ark

Ed. Urania 2014 (Redemption Ark - 2002)

 

Nella galassia è in corso un conflitto spietato e i pianeti Resurgam e Yellowstone sono al centro dell'azione. Nostalgia dell'Infinito , l'astronave che somiglia a un'Arca spaziale, contiene un carico di armi perfezionatissime appartenenti alla cosiddetta hell class che vanno recuperate a tutti i costi. Bisogna arginare la guerra, superando gli odi delle opposte fazioni, o vincerla con una mossa fulminea. Ed ecco emergere dallo sfondo la figura di Nevil Clavain, un essere umano modificato che può controllare il suo corpo e trasmettere il pensiero, al quale spetta il compito di guidare suo malgrado la fazione degli Ultra. Sono questi gli spunti da cui parte Redemption Ark , il nuovo, massiccio affresco di Alastair Reynolds ambientato nell'universo coerente della Rivelazione, già conosciuto dai nostri lettori in Rivelazione 1 e 2 .

Sette anni dopo aver letto Rivelazione, e tre anni dopo aver letto il prequel Il Prefetto, mi sono alla fine deciso a leggere questo Redemption Ark, seguito diretto di Rivelazione, che ho ovviamente dovuto rileggere, altrimenti non sarei stato in grado di capire i collegamenti col passato, dato che la mia memoria è quella che è. Questa rilettura, comparata al parere che ne avevo dato inizialmente, dimostra che sette anni sono tanti, e se non cambia il livello medio di valutazione, cambiano invece diverse sfumature di giudizio, il modo di guardare certi aspetti, probabilmente perché sono cambiato io, o forse perché è una rilettura, ma sopratutto perché nel frattempo ho letto molte altre opere. Questa volta il mondo presentato mi è sembrato più "semplice", meno impressionante rispetto alla prima lettura, e questo può sicuramente essere dovuto alla relativa "familiarità" sopraggiunta, ma ho colto anche limiti e ambiguità che mi erano sfuggiti prima.
Stiamo sostanzialmente parlando di una situazione di "post-singolarità", quella definita da Vinge e ben sviluppata da Stross, come primo esempio che mi viene in mente, ma Reynolds in fin dei conti si limita molto nello sviluppo dell'idea di integrazione uomo-macchina e potenziamento delle capacità mentali. Insomma, gli Ultra, con tutta la loro stranezza, sono solo degli umani con protesi meccaniche un po' miracolose, e l'aspetto "alveare" dei Conjoiner (una versione italiana di questo termine meno imbarazzante dell'originale sarebbe stata benvenuta...) è davvero limitato, e anche poco sviluppato. Molti aspetti di questo mondo sono poi poco o niente giustificati, come la capacità di autoriparazione delle astronavi o altre "meraviglie" tecnologiche, per non parlare della Peste Tecnologica, ottimo artificio narrativo, ma del tutto ingiustificato scientificamente. Insomma, questa rilettura mi ha lasciato un poco più freddo rispetto alla prima volta.
Ma veniamo a Redemption Ark.
In questo secondo capitolo le necessità della storia prendono il sopravvento sulle meraviglie dell'ambientazione. Non ci sono più nuove invenzioni che stupiscono, ma solo l'intreccio narrativo che evolve e si precisa. Quindi meno "sense of wonder" ma più complessità narrativa, più attenzione agli avvenimenti. Questa volta al centro ci sono i Conjoiner, il gruppo umano che ha sviluppato la capacità mentale e l'interconnessione delle menti grazie ad impianti cibernetici nel cervello, e in possesso di tecnologie avanzatissime ottenute da alcune informazioni dal futuro, insieme ad avvertimenti su un enorme pericolo per ogni forma di vita che pattuglia la Galassia. Si incomincia quindi a capire cosa sono gli Inibitori, o i Lupi che dir si voglia, e si cerca una strategia di difesa. Questa concentrazione sugli avvenimenti non va però solo a discapito dello scenario, specialmente i problemi sociali causati dalla convivenza di gruppi umani tanto diversi sono praticamente scomparsi, con la guerra tra dimarchisti e conjoiner data per scontata con solo una giustificazione piuttosto banale. Ma anche i personaggi perdono un po' qualità, si comportano in modo fin troppo scontato, e Clavain, intorno a cui ruota l'intero romanzo, è addirittura esagerato nella sua ricerca delle motivazioni "giuste" per le proprie azioni.
Un altro aspetto che mi ha colpito un po' negativamente ora, e che invece avevo ignorato in precedenza, è l'eccesso di parole scientifiche che hanno un preciso senso ma usate in contesti diciamo "esagerati" in cui di fatto non hanno significato ma solo potere emotivo, come ad esempio le armi a bosoni. Reynolds è stato uno scienziato attivo, e quindi le parole le conosce e sa bene cosa significano, per cui è evidente che le ha usate solo per il loro potere emotivo, perché non ha cercato non dico di darne una giustificazione scientifica, che sarebbe stato impossibile, ma perlomeno una direzione di pensiero che rendesse almeno "credibile" o "immaginabile" il loro uso in quel contesto.
In conclusione, è un romanzo che porta avanti molto bene la vicenda del pericolo posto da queste macchine che distruggono ogni forma di intelligenza organica, e si viene a conoscere anche che ci sono ragioni complesse che le spingono all'azione. La maggiore attenzione a questo aspetto aiuta davvero molto a capire il conflitto che era solo sospettato nel romanzo precedente, ma si perde un poco del "magico" che derivava dalle descrizioni di un mondo estremamente affascinante, con gruppi umani che avevano interpretato le possibilità evolutive in modo diverso e spesso in conflitto tra di loro. Questa volta tutto è un po' più piatto e scontato, con personaggi tutto sommato troppo stereotipi per essere elementi in cui un lettore possa identificarsi facilmente.
È stata davvero una brusca caduta del "sense of wonder" che non mi aspettavo proprio, ma forse è anche dovuto alla lettura dei romanzi di Scalzi, con la sua ironia sempre presente, ma sopratutto la serie The Expanse di James S. A. Corey che mi ha dimostrato come una space opera non debba necessariamente esagerare in esagerazioni, e anche Kim Stanley Robinson e Neal Stephenson hanno avuto il loro ruolo in questo mio cambio di sensazione. Continuerò a leggere Reynolds con piacere, ma oramai con un occhio più disincantato. Poi dovrà essere il turno di Peter F. Hamilton.

 

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